Lungo la linea
ferroviaria Macomer - Bosa, come su tutte le linee gestite prima
dalle SFSS e poi dalle Ferrovie Complementari della Sardegna, si
trovano delle Case Cantoniere.
Un tempo la manutenzione delle linee era affidata, oltre che a
squadre di operai, anche ai cantonieri che dovevano ispezionare i
tratti di linea a loro assegnati.
Queste Case Cantoniere erano state realizzate come edifici a due
piani, con una stanza per piano.
Al piano inferiore era posta l’entrata e una finestra, mentre al
piano superiore vi era solo una finestra.
Il progetto di queste case cantoniere era standard e, in base alle
esigenze, porta e finestre potevano essere aperte, durante la
costruzione, in posizioni differenti.
La N. 27, ad esempio, aveva l’ingresso sul lato sinistro (guardando
la cantoniera frontalmente) e le due finestre entrambe sul frontale
verso i binari.
Altre, invece, avevano la porta e la finestra del piano superiore
sul frontale e la finestra del piano inferiore su un lato.
Al piano terra si trovava un camino e la bocca del forno e, tramite
una scala che poteva essere in pietra o in legno, si accedeva alla
stanza al piano superiore.
Generalmente il pavimento di quest’ultima era in tavolato e, in una
parete, era realizzata una specie di armadio a muro con mensole in
legno.
A quei tempi (la costruzione risale al 1888, anno di apertura al
servizio della linea) non si doveva molto tener conto dell’igiene
delle persone che abitavano nella cantoniera, perché tutte erano
sprovviste di servizi igienici!
Quindi, quando si aveva bisogno, gambe in spalla; la campagna era lì
a due passi!
In estate questo non doveva costituire un grosso problema, ma il
bello era d’inverno durante le giornate fredde!
Ad acuire il problema, inoltre, vi era il fatto che le cantoniere
non avevano acqua corrente all’interno e questa bisognava prenderla
da un pozzo o cisterna presente nel piazzale all’esterno.
Quindi, la vita del cantoniere non doveva essere poi così felice!
Spesso queste case cantoniere erano poste in luoghi molto isolati,
senza possibilità di avere una strada o altro per far sì che si che
si potesse avere un contatto con persone.
Quella del cantoniere era quindi, nella maggioranza dei casi, una
vita fatta di isolamento, dove solo la certezza di uno stipendio
sicuro e di un avvenire per i propri figli dava quello sprone per
sopportare una vita simile.
La
Cantoniera N. 27 è stata per me oggetto di lunghe ricerche, non
perché abbia qualcosa che la contraddistingue dalle altre, ma perché
un motivo affettivo mi lega ad essa.
In questa Cantoniera, nei primi anni ’20 del secolo scorso, prestò
servizio mio nonno in qualità di cantoniere e qui nacque mio padre.
Decisi di visitare questa Cantoniera il giorno 27/12/1991, per poter
poi realizzare un diorama che mi permettesse, anche se in miniatura,
di avere sempre accanto a me un segno della mia vita; inoltre,
realizzai un filmato che mi consentisse di avere su video ogni
particolare, sia esterno che interno, e scattai anche numerose foto.
I binari da 950 millimetri passano a poca distanza da quella che un
tempo, parlo dell’epoca d’oro della ferrovia, era una,
relativamente, comoda casa.
Relativamente, se paragonata alle case che di solito vi erano nei
nostri paesi e che a malapena potevano definirsi case.
Nel percorrere i binari della linea ferroviaria, salendo dalla curva
di Nanio, dopo alcune curve e controcurve, mi apparve la Cantoniera
N. 27.
La prima impressione che ebbi guardandola, fu quella dello
sconforto.
La linea Macomer - Bosa in quel periodo era chiusa al servizio, in
quanto era stata inclusa nei cosiddetti rami secchi, e solo 4 anni
dopo fu riaperta nell’ambito del recupero per il Trenino Verde.
Quindi, ogni sorta di erbacce erano cresciute lungo la linea.
Davanti a me si presentò una costruzione ormai cadente, con
l’intonaco scrostato ed i ricaschi del tetto qua e là cadenti.
Alle finestre erano ancora presenti i portelloni, mentre all’interno
la finestra al piano inferiore era stata asportata e quella al piano
superiore, pur essendo al suo posto, aveva i vetri rotti.
Mentre sto filmando l’interno, la mia mente cerca di tornare
indietro nel tempo e, istintivamente, mi siedo su una vecchia
seggiola polverosa lasciata all’interno della Cantoniera N. 27
chissà da chi.
Chiudo gli occhi e, come per incanto, la mia mente torna indietro e
vedo scene che solo l’immaginazione può dare.
Vedo mio nonno, del quale porto il nome, uscire di buon mattino per
ispezionare la linea prima del passaggio del primo treno che scende
verso Bosa.
Vedo mia nonna che accudisce le faccende domestiche e mi sembra di
sentire il vagito di un bimbo che sta in una rozza culla di legno e
che piange, forse perché ha fame o freddo.
Questo bimbo, che nacque nel 1921 e visse i suoi primi tre anni di
vita in questa cantoniera, era mio padre.
Mio nonno appena sposato nel 1920 partì da Padria, un piccolo paese
del sassarese, e venne assunto dalla Società Italiana per le Strade
Ferrate Secondarie della Sardegna che allora gestiva le reti a
scartamento ridotto dell’isola, una società con un nome lunghissimo
che nel corso della sua storia cambiò più volte nome, capitali e
padroni e permise ai paesi dell’entroterra dell’isola di avere un
collegamento che rompesse l’isolamento che era proprio di alcuni di
questi ultimi. Venne inviato in qualità di cantoniere alla Casa
Cantoniera N. 27 sulla linea Macomer - Bosa e qui iniziò il suo
lavoro.
Nel 1921, quando nacque mio padre, il nome della società cambiò in
Società per le Ferrovie Complementari della Sardegna e lo stipendio
mensile di mio nonno era di 127,50 lire. Oggi sorridiamo a sentire
tali cifre, ma se consideriamo che per un bracciante che lavorava
anche per 10 ore al giorno la paga giornaliera era di 2 lire, si
comprende che, almeno dal punto di vista economico, non si stava poi
tanto male.
Inoltre si avevano molti vantaggi, sia perché si aveva la
possibilità di poter curare se stessi ed i familiari tramite la
cassa soccorso che garantiva sempre visite mediche, sia, inoltre,
per la possibilità di potersi approvvigionare di viveri che
altrimenti non si trovavano comunemente nei negozi dei nostri paesi.
Naturalmente, come in ogni attività umana, vi era un prezzo da
pagare e questo era dato dall’isolamento in cui ci si trovava
vivendo in queste cantoniere.
Dove è situata la Cantoniera N. 27 non passa neppure una strada,
quindi la vita doveva essere molto austera, almeno dal punto di
vista dei contatti umani.
A volte, lo sentivo raccontare da mio padre che lo seppe da mia
nonna, quando l’ultimo treno della sera era passato, ci si
incamminava lungo i binari e si andava dalle famiglie di altri
cantonieri che stavano o nella cantoniera precedente la N. 27, o in
quella successiva. Così si cercava, almeno in parte, di rompere la
solitudine che ogni giorno segnava la vita.
Purtroppo mio nonno non ebbe una vita né felice, né lunga.
Reduce dalla Guerra di Libia del 1911 e della Prima Guerra mondiale
contrasse proprio durante quest’ultima un’ulcera allo stomaco e, già
quando venne assunto in ferrovia, iniziò a sentire i primi disturbi.
Allora le cure mediche non avevano certo la capacità di quelle
odierne e così, tra medicinali di vario tipo e altro, passò i suoi
ultimi anni di vita peggiorando continuamente.
Alcuni medicamenti davano sì del sollievo ma, con il passare del
tempo, l’ulcera peggiorò al punto che, nel 1924, alla voce delle
cure mediche nel resoconto della cassa soccorso dei ferrovieri per
mio nonno addirittura raddoppiarono.
Purtroppo nulla oramai poteva salvarlo e, ai primi del mese di
ottobre del 1924, si aggravò e venne ricoverato all’Ospedale di
Cagliari. Questo perché, essendo la sede della Società a Cagliari,
era quasi d’obbligo che il suo personale venisse ricoverato in loco.
Gli ultimi giorni di mio nonno furono tremendi: l’ulcera aveva
perforato la parete dello stomaco e continue emorragie stavano
debilitando il suo già provato fisico.
Il 19 del mese di ottobre del 1924, mio nonno rendeva l’anima a Dio;
aveva solo 32 anni!
Lasciò mia nonna da sola con due figli: mio padre, che all’epoca
aveva tre anni, e zio che aveva sei mesi (nacque nel mese di marzo
del 1924) e, non essendo lei la dipendente della Società, mia nonna
dovette lasciare quella che per quattro anni era stata la sua casa.
Abbandonò non solo tutto questo, ma anche la possibilità di poter
crescere i suoi figli in modo più decente e con la prospettiva che,
un giorno, anche loro avrebbero potuto lavorare in ferrovia con un
avvenire, per l’epoca, sicuro. Ritornò a Padria, suo paese natale, e
qui, con i soldi della liquidazione, acquistò una casa e, con
sacrifici e una vita povera, crebbe i suoi due figli.
Tutto questo che descrivo mi è passato accanto e non mi sono reso
conto che è stato un attimo.
Apro gli occhi e mi vedo ancora seduto sulla vecchia seggiola;
guardo l’orologio, il tempo è volato e mi rendo conto che è ora di
andare.
Esco dalla
Cantoniera N. 27 e mi incammino di nuovo sui binari.
Mi giro per un’ultima occhiata verso di essa e, di nuovo come per
incanto, ho un’altra visione.
Accanto al muro di contenimento vedo le figure di tre persone: sono
i miei nonni e mio padre, che mi guardano e mi sorridono.
E sembra che, con quel sorriso, mi vogliano ringraziare perché,
grazie alla mia passione per la ferrovia, contribuisco a tenerli in
vita.
Tutto questo, naturalmente, è nella mia immaginazione ma sembra
realtà.
Mi incammino lungo i binari e, voltandomi ancora una volta, non vedo
più i nonni con mio padre e i miei occhi stanno diventando umidi e
parlo alla Cantoniera N. 27 come ad una persona: «Cara vecchia 27,
penso che nessuno si curerà mai di te, ancora un po’ e forse sarai
un vecchio rudere e un giorno crollerai su te stessa. Allora
veramente un segno della mia vita se ne andrà per sempre, ma stai
pur certa che, finché avrò vita, sarai sempre nel mio cuore e nella
mia mente perché, come si usa dire, nessuno muore mai finché resta
nel cuore di chi rimane».
Affinché tutto questo non muoia, ho voluto realizzare un diorama che
rappresenti come doveva essere la Cantoniera N. 27 nei primi anni
’20 del secolo scorso. La scala adottata è in 1:87 (HO) e, oltre al
diorama, ho auto-costruito un convoglio delle FCS con locomotiva
Winterthur e alcuni vagoni.
Non mi dilungherò nella spiegazione di come ho realizzato il
diorama; penso che le foto diano più spiegazioni di un testo.
Tutto ciò che si vede è completamente auto-costruito impiegando
materiali che vanno dal legno al cartoncino per la casa cantoniera,
al polistirolo espanso per i rilievi ed alle piante naturali
elaborate per la vegetazione.
Per il treno ho usato materiali plastici e metallici, sia per i
vagoni che per la locomotiva.
Tutto ciò mi ha portato via un po’ di tempo, anche perché la
locomotiva è realmente funzionante con un piccolo motore elettrico.
Alla fine però, penso di aver dato un’idea abbastanza esauriente di
come doveva essere a quei tempi la vita di un cantoniere e della sua
famiglia.
Realizzare questo diorama è stato un po’ come tornare indietro nel
tempo e, come già detto, riportare in vita persone che mi hanno
amato e che non potrò mai dimenticare.
(Sassari,
26 giugno 2011) |