LA FERROVIA ALIFANA
NAPOLI - S.MARIA CAPUA V. - PIEDIMONTE MATESE

LA FERROVIA ALIFANA DAL DOPOGUERRA AGLI ANNI SETTANTA

di Roberto Ferrazza

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1. La travagliata ricostruzione del tronco alto
(Piedimonte d’Alife - S. Maria Capua Vetere)

a. La situazione del tronco alto alla fine della guerra

Alla fine del secondo conflitto mondiale, la rete ferroviaria in concessione1 appariva in condizioni desolanti non soltanto per le distruzioni deter­minate dalla guerra ma anche per il fatto che la maggior parte delle linee risultavano tecnicamente superate e non erano in grado di assolvere adeguatamente alla loro funzione, registrando, al contempo, rilevanti passività di esercizio2. A fronte di tale situazione, lo Stato intervenne immediatamente con sussidi integrativi di esercizio (anche per compensare il costo popolare dei biglietti), attuando un’applicazione generale del regio decreto-legge 29 luglio 1938, n. 1121, sussidi poi confermati da provvedimenti successivi, quali la legge 1 dicembre 1948  n. 1449.   

La Ferrovia Alifana3 costituiva un esempio paradigmatico delle condizioni delle ferrovie italiane nel dopoguerra. In particolare, nel tratto tra S. Angelo in Formis e Piedimonte d’Alife (35 km), la ferrovia aveva subito, nel 1943,  la totale distruzione di 19 opere d’arte, tra cui il viadotto per l’attraversamento del fiume Volturno, la parziale distruzione di altre 4 opere d’arte, la totale distruzione di 14 chilometri di armamento e la parziale distruzione di altri 3 chilometri, la totale distruzione di 4 fabbricati viaggiatori e di 4 magazzini merci, la totale distruzione della linea telefonica. A tutto ciò si aggiunse l’asportazione dei materiali e la dispersione del materiale d’armamento e delle traverse, poiché molti tratti della sede ferroviaria erano stati adibiti a strada ordinaria per il passaggio di automezzi. 

Ma l’Alifana, nel suo tronco alto, non era solo una ferrovia distrutta, era anche una ferrovia antiquata.

Aveva, innanzitutto, una trazione a vapore che comportava, oltre alla bassa velocità di marcia dei mezzi, un servizio oneroso e deficitario; era quindi necessario sostituire la trazione a vapore con la trazione elettrica, più moderna e già impiegata nel tronco basso, con relativa spesa di costruzione delle strutture di elettrificazione.   

In secondo luogo, era necessario modificarne il tracciato, per eliminare pendenze e contropendenze (che arrivavano fino al 40 per mille), curve e controcurve (con raggio minimo di 80 metri), nonché sostituire l’armamento da 22 kg a metro lineare con quello da 36 kg/m.

In terzo luogo, era opportuno sostituire lo scartamento ridotto con quello ordinario; soluzione certamente preferibile, ma che avrebbe portato a rifare ex novo anche l’altro tronco, Napoli – Santa Maria Capua Vetere, sia in relazione agli impianti fissi che al materiale mobile, con una spesa aggiuntiva dell’ordine di diverse centinaia di milioni di lire; salvo prevedere l’allaccio del tronco da ricostruire con le linee delle Ferrovie dello Stato (Roma - Napoli, via Cassino), ma ciò avrebbe comportato la definitiva separazione dei due tronchi e la rottura della continuità della ferrovia.

In quarto luogo, si era rilevato che il tronco in oggetto avesse una limitata utilità, essendosi calcolato che la corrente di traffico servita fosse pari solo al  14% del totale della ferrovia stessa. 

Infine, era emerso pacificamente che la gestione della Ferrovia, nel decennio anteriore al 1940,  aveva prodotto forti passività di bilancio4

 

b. Il dibattito politico sulle sorti del tronco alto

Alla luce di tutte queste problematiche, la Commissione di studio per il piano regolatore delle ferrovie, istituita presso il Consiglio superore dei lavori pubblici, aveva stabilito, nel 1948, che il tronco alto dell’Alifana non dovesse essere ricostruito, per ragioni di utilità ed economia, e sostituito definitivamente dal servizio automobilistico. 

Per il Governo si pose quindi il dilemma che ostacolerà in futuro la rapida ricostruzione della ferrovia: provvedere al ripristino del tronco in oggetto, affrontando una spesa ingente (con l’incertezza del ritorno economico), oppure sostituire definitivamente il servizio ferroviario con un adeguato servizio automobilistico5.

I tentennamenti dei governi dell’epoca erano evidenti: da una parte, si prometteva e si garantiva la ricostruzione della ferrovia, con stanziamento dei fondi, ma, dall’altra, si procrastinava l’inizio della procedura, con diverse motivazioni, causando la distrazione dei finanziamenti previsti.

In effetti, sarebbe opportuno esaminare brevemente le ragioni per le quali la vicenda della ricostruzione del tronco alto, compiutasi nel 1963, a vent’anni dalla distruzione, fu così tormentata.

Innanzitutto, nel dopoguerra si acuì enormemente la competizione tra trasporto su rotaie e trasporto su strada; la ferrovia aveva rappresentato il primo grande mezzo di trasporto di massa, con previsione di agevolazioni tariffarie per le classi meno abbienti (operai, impiegati, studenti: i c.d. pendolari), ma ora sembrava soccombere di fronte alla notevole espansione di un sistema di trasporto, più agile, duttile e dai costi molto più contenuti. I piani strategici dei trasporti dei governi tendevano a favorire il servizio automobilistico, meno gravoso per il bilancio del Paese e con grandi prospettive di sviluppo, anche se non mancò l’impegno per rivitalizzare il sistema ferroviario, in particolare, quello statale.

Altra ragione si può riscontrare nel programma strategico di alcune forze politiche tendente a non favorire eccessivamente le concessioni di servizi pubblici conferite ai privati, facendo affluire a loro favore elargizioni, sovvenzioni e contributi statali di notevole entità, ritenendosi, invece, che la gestione delle concessioni di trasporti da parte dell’ente pubblico fosse maggiormente produttiva, economica e vantaggiosa per i cittadini fruitori, anche a livello tariffario6.         

Poi, un problema - che investiva in particolare l’Alifana e la cui risoluzione era stata posta dal Governo come questione pregiudiziale per la ricostruzione - era quello attinente alla titolarità e all’esercizio della concessione. La titolarità, infatti, spettava ancora alla società (anonima) francese Compagnie des Chemins de Fer du Midi de l’Italie7, ma l’esercizio della concessione era stato “provvisoriamente” affidato, nell’aprile 1923, ad una Gestione commissariale governativa. Da allora ne era nato un contenzioso8, ancora in atto nel dopoguerra: la Compagnie pretendeva, in diritto, la restituzione dell’esercizio della ferrovia e, a prova della serietà della sua azione, aveva presentato, entro il 1948, diversi progetti di ricostruzione ex novo del tronco da realizzarsi, comunque, interamente a spese dello Stato, e, nell’agosto del 1950, depositò uno schema di convenzione tra Stato e concessionaria, unitamente al progetto esecutivo dei lavori di ricostruzione.    

Altro motivo del rallentamento del processo di ricostruzione è da ravvisarsi in quello che il ministro Jervolino, in un discorso alla Camera dei Deputati del 26 ottobre 1951, sospettò trattarsi dell’azione di forze estranee al Ministero dei trasporti, volte a paralizzare e fermare la ricostruzione della Ferrovia Alifana. Tali forze estranee  possono essere individuate sia in coloro che, per le ragioni sopra illustrate, ritenevano la Ferrovia come un c.d. ramo secco, nel quale ogni investimento sarebbe stato inutile e controproducente; sia in coloro che, per ragioni di ordine campanilistico, cercavano di far confluire, nella misura più elevata possibile, la parte dei fondi stanziati dallo Stato, con vari provvedimenti, verso le infrastrutture presenti nei loro collegi elettorali di provenienza.

Si possono poi aggiungere ragioni di ordine burocratico, per la complessità delle procedure di ripristino e di ricostruzione della linea ferroviaria, ma tale ragioni, anche agli esponenti politici dell’epoca favorevoli alla rinascita dell’Alifana,  sembrarono le meno rilevanti.

Infine, non si può trascurare che la durata breve dei vari governi che si succedevano non garantiva un’azione continua ed unitaria delle scelte politiche, amministrative ed economiche.  

Comunque, il Governo, considerato il notevole sviluppo economico della zona fra Piedimonte d’Alife e S. Maria Capua Vetere, più volte manifestò, fra il 1947 e il 1950, l’intenzione di riattivare il tronco alto, purché esso, per ragioni di imprescindibile rispetto dei criteri di economicità del servizio, fosse ricostruito a scartamento ordinario, a trazione elettrica (a corrente continua a 3000 volt) e con allaccio, a S. Maria Capua Vetere, alla linea Roma - Napoli (via Cassino) delle Ferrovie di Stato. Nell’atteggiamento favorevole del Governo contribuì anche l’insistenza delle popolazioni locali che inscenarono numerose manifestazioni a favore della riattivazione dell’antica ferrovia e diedero vita a decise forme di protesta contro gli indugi governativi con comitati di agitazione continua.

 

c. I provvedimenti legislativi a favore delle ferrovie in concessione

Il 14 giugno 1949, il Parlamento emanò una prima legge di ampio respiro, la n. 410,  finalizzata alla riattivazione dei pubblici servizi di trasporto in concessione:  si prevedeva il concorso dello Stato, sino all'importo totale della spesa prevista9, alla riparazione e alla ricostruzione delle ferrovie pubbliche in regime di concessione, distrutte o danneggiate per eventi bellici. Si prevedeva, inoltre, in via definitiva, l’erogazione annuale di sussidi integrativi di esercizio per il ripianamento delle perdite.

Dei finanziamenti di questa legge sembrò poter subito avvalersi anche la Ferrovia Alifana, la cui ricostruzione delle linea ferroviaria del tronco alto fu assunta – davanti alle Camere - come impegno solenne dal Governo, il quale non solo promise lo stanziamento di fondi nell’esercizio finanziario 1949-50, ma si attivò poi pure a calcolare la somma necessaria alla ricostruzione della ferrovia in oggetto (determinata in circa tre miliardi di lire), nell’ambito delle somme stanziate (16 miliardi di lire) dalla legge 17 gennaio 1951 n. 15 per la ricostruzione delle ferrovie in concessione distrutte.

Tuttavia, ancora una volta, l’azione del Governo non corrispose ai suoi buoni propositi. Conseguentemente, di fronte all’inerzia governativa, il 28 ottobre 1951, per iniziativa di alcuni deputati delle circoscrizioni interessate dal servizio ferroviario, venne approvato un ordine del giorno con il quale si impose al Governo di dare immediato sollecito alle pratiche ancora necessarie per l’inizio dei lavori di ricostruzione del tronco S. Maria Capua Vetere – Piedimonte d’Alife, il cui finanziamento era assicurato dalla legge n. 15 del 1951, adempiendo ad impegni ripetutamente assunti anche in sede parlamentare, assecondando le ben giustificate aspirazioni di laboriose popolazioni, duramente provate dalla guerra e dalla disoccupazione favorendo lo sviluppo civile ed economico di vaste zone di Terra di Lavoro.

All’approvazione dell’ordine del giorno seguì, cinque mesi dopo, nel marzo 1952, il parere favorevole della competente commissione interministeriale per la riattivazione dei pubblici servizi all’assegnazione di 2,9 miliardi di lire a favore della sospirata ricostruzione.

Ancora qualche mese dopo, il 2 agosto 1952, venne emanata la normativa perno della riorganizzazione del settore ferroviario in regime di concessione, la legge n. 1221 (successivamente  integrata dalla legge n. 237/1958). Con tale legge si decise il finanziamento del potenziamento tecnico ed economico di molti tratti ferroviari in concessione; in particolare, si prevedeva che, ai fini dell’intervento statale, il Ministero dei trasporti, dopo parere di apposita commissione interministeriale,  potesse individuare tre tipologie di linee: a) le linee esercitate con mezzi sufficientemente moderni, risanabili con il solo adeguamento della sovvenzione di esercizio; b) le linee risanabili mediante ammodernamento, trasformazione o sostituzione degli impianti e del materiale rotabile; c) le linee sostituibili con servizi stradali paralleli10, alle stesse condizioni tariffarie, facendo salva la permanenza dei diritti acquisiti del personale.

Furono inoltre previsti contributi per l’ammodernamento delle ferrovie e una sovvenzione (chilometrica) di esercizio per fronteggiare le perdite delle imprese concessionarie11.

Ma neanche in tal caso la ferrovia Alifana beneficiò di risorse per la sua ricostruzione (tronco alto) o per il suo ammodernamento (tronco basso), poiché l’intera ferrovia non venne classificata in alcuna categoria. Cosicché, dopo la fondazione di un comitato di zona da parte dei ferrovieri della linea, la pressione delle popolazioni interessate e dei parlamentari loro rappresentanti, fu votato un altro ordine del giorno, alla Camera, il 27 ottobre 1953, con il quale si impegnava il Governo a dare immediatamente inizio all’opera di ricostruzione della Napoli – Piedimonte d’Alife, nel tratto a vapore Capua - Piedimonte, senza attendere la sistemazione dei rapporti tra Stato e società concessionaria (come detto, la sistemazione dei rapporti con la concessionaria francese era una condizione alla quale il Governo subordinava l’inizio della ricostruzione).

 

d. Il rilascio della nuova concessione e l’opera di ricostruzione

Questa volta, anche se dopo circa un anno, il Governo finalmente avviò l’iter della ricostruzione, avvalendosi dei fondi stanziati in base alla legge n. 410 del 1949: innanzitutto,  in data 7 ottobre 1954  stipulò un contratto con la Compagnie des Chemins de Fer du Midi de l’Italie, con il quale rilasciava la nuova12 concessione della ferrovia e la società si obbligava a riassumere l’esercizio della ferrovia e di completare entro due anni la ricostruzione del tronco S. Maria Capua Vetere – Piedimonte d’Alife, a scartamento ordinario, a trazione elettrica e con innesto, a S. Maria Capua Vetere, alle Ferrovie dello Stato, così come da sempre pianificato ai fini della convenienza del servizio.

La separazione dal tronco basso, sia giuridica che amministrativa, era ormai definitiva e irreversibile, lasciando la tratta Napoli - S. Maria Capua Vetere (e Capua) al suo destino.

La concessione fu rinnovata per 35 anni a decorrere dal decreto di approvazione, nonostante non fosse ancora scaduto il termine della precedente concessione, fissato per il 1964.

Il contratto fu quindi approvato con decreto presidenziale 22 dicembre 1954, n. 1459, con una dichiarazione implicita di pubblica utilità dell’opera, necessaria ai fini dell’esproprio dei terreni sui quali insistevano le strutture delle modifiche di tracciato; vi era contenuto anche l’obbligo di ammodernare e potenziare il primo tronco, relativo al tratto Napoli - S. Maria Capua Vetere, il cui progetto esecutivo doveva ancora essere presentato dalla Società concessionaria.

Il progetto di ricostruzione prevedeva modifiche e miglioramenti del tracciato per eliminare i tratti con eccessiva pendenza (superiori al 25 per mille) e per portare il raggio minimo delle curve a 300 metri, costruendosi, a tal fine, nuovi ponti, viadotti e diversi tunnel; alcune stazioni furono ricostruite spostate in posizione più favorevole rispetto al centro abitato. Si decise di non adottare la trazione elettrica, ma quella diesel, nell’ambito del progetto di dieselizzazione che riguardò le ferrovie del Meridione.

La prima pietra per la ricostruzione fu posta il 4 gennaio 1955, ma dopo tre mesi ancora non era stata posta la seconda pietra, sollevando le immediate proteste dei parlamentari promotori; l’indugio iniziale fu essenzialmente dovuto all’attuazione degli espropri necessari per le modifiche di tracciato. Comunque, nei primi mesi del 1958 i lavori erano già stati eseguiti per oltre l’80% del totale, ma furono sospesi poiché la somma stanziata si rilevò insufficiente per la maggiorazione dei costi, per ulteriori opere di consolidamento, nonché per l’adozione di rilevanti varianti suggerite dall’A.N.A.S. Fu pertanto necessaria l’emanazione della legge 24 luglio 1959 n. 622 che stanziò (art. 40) per la ferrovia, nell’esercizio finanziario 1959-60, ulteriori 990 milioni di  lire per il completamento della ricostruzione, per un costo complessivo dell’opera (impianti fissi) di quattro miliardi di lire.

All’inizio del 1962, i lavori di costruzione della sede e delle opere d’arte erano ultimati, tranne un breve tratto in prossimità della stazione di Alife, e il materiale rotabile era costruito per oltre il 50%; il progetto degli impianti di segnalazione e di sicurezza fu realizzato nella seconda metà dello stesso anno. L’esercizio ferroviario fu quindi riattivato dal 5 aprile 1963, il giorno successivo all’inaugurazione.

 

e. La concessione della sovvenzione per l’esercizio del tronco alto

Intanto, nel gennaio del 1961, la società concessionaria aveva presentato il programma di esercizio e il piano finanziario della linea, con la previsione di sette coppie di corse giornaliere fra Napoli e Piedimonte (ipotizzando il riassorbimento di circa il 70% del traffico svolto fino ad allora con il  servizio automobilistico sostitutivo), chiedendo anche che fosse fissata in via definitiva la sovvenzione annuale ex art. 2 legge n. 1221/52 dalla competente commissione interministeriale, da erogarsi fino alla scadenza della concessione (prevista per il dicembre 1989).

La commissione interministeriale, valutato il piano finanziario della concessionaria, sulla base delle previsioni degli anni 1961 – 1962, in considerazione di un passivo annuo ricalcolato in lire 162 milioni, ritenne di accordare, con parere del 20 novembre 1962, una sovvenzione annua di circa  4 milioni di lire al chilometro13 (il tronco della ferrovia era lungo 41+084,52 km fino all’allaccio alle ferrovie di Stato). Poiché la sovvenzione, così determinata, era superiore al massimo previsto dalla legge (vedi nota 11) si rese necessario il ricorso ad un disegno di legge ad hoc.

La discussione in Commissione Trasporti della Camera sul disegno di legge presentato dal Governo, già approvato in Senato, fu molto animata. I dati aggiornati sulla gestione dell’esercizio ferroviario (1963 – 1964), fra l’altro, prefiguravano un passivo sempre più elevato, per l’aumento progressivo dei costi (soprattutto del personale, aumentati del 30% in due anni) e un calo costante e notevole dei viaggiatori, tanto da far sostenere che la sovvenzione necessaria a fronteggiare le passività dovesse essere determinata in misura del doppio di quella prevista14.

Tuttavia, il disegno fu approvato a maggioranza, nel luglio 1965, nonostante le forti perplessità e la convinzione che, purtroppo, già a due anni dal ripristino, il bilancio economico del tronco ricostruito si dimostrava largamente negativo, senza la speranza di un’inversione di rotta negli anni a seguire.

In effetti, la mancanza di una sovvenzione adeguata non avrebbe consentito la continuazione del servizio ferroviario sul tronco alto, potendo la società concessionaria o rinunciare alla concessione, chiedendo il risarcimento dei danni allo Stato per inadempimento della convenzione di concessione, o sostituire interamente il servizio ferroviario con quello automobilistico, rendendo vani, così, tutti gli ingenti finanziamenti impiegati per la ricostruzione, senza considerare che la soppressione della ferrovia avrebbe suscitato le vibranti proteste delle popolazioni interessate.

Fu quindi emanata, obtorto collo, la legge 26 luglio 1965, n. 971 (Disposizioni per la concessione di una sovvenzione per l'esercizio del tronco ferroviario Santa Maria Capua Vetere-Piedimonte d'Alife), nella consapevolezza dei legislatori che gran parte delle ferrovie secondarie (e parte di quelle statali) erano da considerarsi dei rami secchi e che ormai era indifferibile la sostituzione di ferrovie estremamente passive con autolinee. Infatti, contemporaneamente  al disegno di legge fu approvato un ordine del giorno alla Camera con il quale, rilevato che le condizioni di esercizio delle ferrovie in concessione erano (e lo sarebbero stato anche per il futuro) in contrasto con le basilari norme di amministrazione e constatato che non era più ammissibile che alcune situazioni patologiche continuassero a danno dell’economia, si invitava il Governo a predisporre urgentemente lo studio per la razionale sistemazione, anche legislativa, delle concessioni delle ferrovie secondarie e delle autolinee.         

Come primo atto, in ossequio all’ordine del giorno, si insediò una commissione interministeriale trasporti-tesoro che, nel 1966, classificò le ferrovie in concessione in tre gruppi: nel primo, inserì le linee che svolgevano un servizio insostituibile (soprattutto nei comprensori delle maggiori città), da potenziarsi e mantenersi anche a costo di oneri gravosi per lo Stato; nel secondo, inserì le linee di minore importanza, ma ancora utili e bisognose solo di provvedimenti per la messa in sicurezza dell’esercizio; nel terzo, furono inserite le linee da sostituirsi con servizi stradali, eccessivamente onerose in relazione all’importanza e al traffico servito.  

Nonostante le discussioni che accompagnarono l’approvazione della legge del 1965, la Ferrovia Alifana non corse il rischio di essere inserita nel terzo gruppo e continuò ad esercitare, pur fra tante difficoltà, il servizio ferroviario in entrambi i tronchi; anzi, un decennio dopo, con la legge n. 86 del 1976 (ved. infra paragrafo 2b), beneficiò di un ulteriore sforzo finanziario statale per il potenziamento e l’ammodernamento dell’intera linea,  vedendosi  riconoscere, senza contrasti, l’importante funzione di svolgere un servizio di trasporto casa  - lavoro o luogo di studio di cospicue masse di lavoratori e studenti, il tutto alla luce dell’inversione di tendenza a favore del mezzo su rotaia, rilevandosi le crescenti difficoltà incontrate dal trasporto su gomma sugli itinerari di penetrazione dei centri urbani.

 

Note

1La ferrovia Napoli - Piedimonte d’Alife (o Alifana) rientrava nel settore delle ferrovie secondarie o minori, ossia aventi carattere regionale o locale, regolate dal Regio Decreto 9 maggio 1912 n.1447 (Disposizioni di legge per le ferrovie concesse all’industria privata).  Oggi, in Italia, ne risultano ancora operanti circa una trentina (con 3.500 Km di linee), dopo la notevole soppressione attuata nel dopoguerra, in quanto ritenute antieconomiche e improduttive.

2 In media, nelle ferrovie secondarie, gli incassi non raggiungevano il 10% dei costi. In particolare, nella Ferrovia Alifana, i costi aumentavano considerevolmente per il numero del personale impiegato, che dalle 140 unità dell’originario organico era salito a 400 unità nel 1966, dopo il ripristino dell’Alifana alta. Per il personale in esubero, solitamente, se non assorbito da altro ente, si attendeva fino al collocamento a riposo per limiti d’età; ad esempio, la dirigenza di movimento di S. Andrea dei Lagni fu soppressa nel 1949, ritenendosi sufficiente la sola dirigenza di Aversa a controllare l’unico tronco rimasto in esercizio (Capua-Aversa-Napoli), ma la decisione fu attuata solo con decorrenza dal 1° febbraio 1956, proprio per consentire il pensionamento di tutto il personale impiegatovi.

3La convenzione di concessione per la costruzione e l’esercizio di una ferrovia da Napoli a Piedimonte d’Alife del 27 marzo 1900 fu approvata con Regio decreto 1 aprile 1900 n. 197; negli anni successivi intervennero una convenzione modificativa (approvata con R.D. 07.08.1909 n. 628) e una convenzione suppletiva (approvata con R.D. 02.05.1915 n. 664).  

4Si fece tuttavia osservare che non poteva essere preso a riferimento il deficit di esercizio nel decennio 1931-1940, in quanto, in quegli anni, mentre la  ferrovia Napoli - Piedimonte era orientata verso Caserta, la vita amministrativa e le relative comunicazioni si svolgevano in direzione di Benevento, all’epoca capoluogo di provincia per l’alifano, dopo la soppressione della provincia di Caserta, ricostituita solo nel 1945.

5Il servizio stradale sostitutivo già si svolgeva dal 1946, in forma provvisoria, in attesa di una decisione definitiva sulla ricostruzione del tronco alto.

6Lo Stato si rifiutava però di assumere direttamente la gestione delle ferrovie in concessione, in quanto riteneva che fosse più economico, pratico ed utile affidare la gestione di dette linee (soprattutto quelle a scartamento ridotto) ai privati concessionari.

7La società anonima francese Compagnie des Chemins de Fer du Midi de l’Italie, con sede a Parigi, si era costituita con capitale sociale di 5 milioni di franchi e statuti ricevuti dal notaio Bourdel di Parigi il 22 dicembre 1905, subentrando nella concessione ad un’altra società francese. La concessione originaria aveva la durata di 50 anni a decorre dall’attivazione dell’ultimo tronco, avvenuta nel 1914: pertanto, la concessione sarebbe scaduta nel 1964.

8La Compagnie aveva chiesto i danni per le perdite subite a causa della guerra, valutati in circa un miliardo di lire; si arrivò ad una transazione per la somma di soli 10 milioni di lire, a fondo perduto, ma con la promessa di un rinnovo della concessione della ferrovia.

9Invece, per la riparazione del materiale rotabile e d'esercizio di proprietà dei concessionari e per l'acquisto di nuovo materiale rotabile e d'esercizio in sostituzione di quello andato perduto o distrutto poteva essere concesso un concorso dello stato sino al 50 per cento della spesa prevista. Alla Compagnie fu riconosciuto un contributo statale pari al valore del 100% degli impianti fissi e del 50% del materiale rotabile.

10La sostituzione poteva essere provvisoria o definitiva; in ogni caso, per la soppressione della linea ferroviaria, inutile o cronicamente antieconomica (c.d. ramo secco), doveva intervenire un’apposita legge. Fino ai primi anni Sessanta, furono definitivamente sostituite con autolinee circa 4.000 chilometri di linee ferrotranviarie.  

11La precedente normativa, la legge n. 410 del 1949, prevedeva un sussidio statale ad integrale ripianamento delle perdite, mentre la legge n. 1221 del 1952 si limitava a stabilire una sovvenzione ordinaria in base ai chilometri della linea, quale rimborso forfettario delle spese, lasciando alla concessionaria l’onere di ripianare l’ulteriore deficit. Conseguentemente, aumentò il rischio di impresa per la concessionaria, la quale poteva soltanto richiedere una revisione della sovvenzione, qualora fossero aumentati sensibilmente i costi di gestione. L’importo della sovvenzione doveva essere determinato da una commissione interministeriale e, per le linee dell’Italia meridionale ed insulare che rivestivano particolare importanza sociale non poteva essere superato il limite massimo di lire 1.400.000 al chilometro, se non mediante apposita legge.

12 “Nuova”, in quanto la ferrovia sarebbe stata ricostruita e completamente rinnovata, con modifiche tecniche e di tracciato. Il successivo D.P.R. 14 ottobre 1958 n. 1107 approvò la riduzione della trattenuta in garanzia.

13La Ferrovia Alifana, essendo stata (parzialmente) ricostruita con i fondi autorizzati dalla legge n. 410/1949, beneficiava ancora del contributo di integrale ripianamento delle perdite di esercizio previsto da tale legge; era quindi necessario, onde non aggravare il bilancio dello Stato, arrivare alla determinazione della sovvenzione chilometrica di cui alla legge n. 1221/1952, con limitazione al rimborso forfettario delle spese, almeno per il tronco alto. In sede di revisione della sovvenzione si sarebbe poi tenuto conto dell’onere per l’ammodernamento e degli interessi della spese di ricostruzione per gli immobili e gli impianti fissi non coperte dal contributo erogato ex legge n. 410 del 1949.

14Dopo qualche mese di esercizio, nel settembre 1963, si paventò addirittura la chiusura dell’intera ferrovia.

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